Il 15 maggio 1116 l’imperatore Enrico V riconobbe ai concives bolognesi una serie di prerogative con un diploma che è tradizionalmente considerato la base di legittimazione della loro organizzazione comunale. Si trattò del primo riconoscimento ufficiale del Comune di Bologna, tanto che quando nel Duecento si vollero raccogliere gli attestati dei suoi diritti nel cosiddetto Registro Grosso – tuttora conservato all’Archivio di Stato di Bologna – una copia del diploma fu anteposta a tutti gli altri documenti come se ne costituisse l’atto di nascita.
Si ritiene che l’origine del diploma sia strettamente legata alla scomparsa di Matilde di Canossa (24 luglio 1115) che dal 1111 era stata riconosciuta dall’imperatore «regina d’Italia» e «vicaria imperiale». La notizia della sua morte fu probabilmente la causa principale di una ribellione dei bolognesi contro i funzionari imperiali che giunse a distruggerne la loro rocca (nel sito del Palazzo Ghisilardi, attuale sede del Museo Civico Medievale). Quando nove mesi dopo Enrico V si presentò al di qua delle Alpi, la comunità cittadina, nel timore di subirne la punizione, decise di inviargli una delegazione guidata dai giuristi Alberto Grasso e Ugo di Ansaldo presso la corte imperiale di Governolo nel Mantovano, per chiederne il perdono. Alla richiesta del perdono ne furono aggiunte molte altre. La loro totalità non ci è nota e quindi nemmeno l’eventuale parte di prerogative non riconosciute, ma l’evidente accondiscendenza che l’imperatore dimostrò emanando il suo diploma fu probabilmente motivata dalla volontà di garantirsi la fedeltà dei bolognesi in un momento non facile della sua vicenda politica. Sottoscritto da Warnerius iudex (Irnerio), Il diploma concesse la protezione imperiale su tutti i beni mobili e immobili posseduti dai bolognesi; con conseguente tutela dei loro patrimoni e dei loro commerci; l’esonero dalle imposte indirette; la libertà di transito senza oneri di pedaggi sulle vie pubbliche fluviali e terrestri, in particolare per la navigazione sul Po; il riconoscimento di tutte le antiche consuetudini, compresi i possessi di alcuni beni comuni posti al limite delle paludi della pianura a nord est della città; il riconoscimento della facoltà di vietare interventi sull’alveo del Reno che potessero comprometterne la navigabilità; la facoltà di proibire ai mercanti toscani di portarsi a nord della via Emilia, tranne che per le fiere della Domenica delle Palme e di S. Martino; la fissazione di un tetto di 100 lire veronesi per l’imposta che si doveva all’imperatore in occasione delle sue permanenze in città; l’avallo del divieto per i conti di riscuotere qualsivoglia imposta feudale dai coloni delle loro terre; l’esonero da ogni procedimento giudiziario per i bolognesi che militavano nell’esercito imperiale, se non per reati commessi durante la ferma. Chiunque avesse infranto quegli accordi avrebbe dovuto pagare una somma di 100 libre d’oro, spettante per metà al sovrano per metà ai concives bolognesi. A conclusione del diploma, l’imperatore concesse ai bolognesi il perdono per l’offesa arrecatagli con l’assalto alla rocca.