La peste del 1630 conosciuta ai lettori moderni grazie alle ampie descrizioni di Alessandro Manzoni imperversò anche nella città di Bologna. Già provata dalle carestie di inizio secolo Bologna perse quasi la metà della sua popolazione cittadina. L’epidemia fu portata a Bologna nel maggio del 1630 dai soldati lanzichenecchi giunti ad assediare Mantova nel corso della guerra di successione apertasi alla morte del duca Vincenzo II Gonzaga nel 1627. La reazione del Comune venne diretta dal legato pontificio Bernardino Spada che venne chiamato a far parte dell’Assunteria di Sanità. Questo collegio si occupava degli affari attinenti alla salute pubblica, soprattutto le epidemie, emanando disposizioni e controllandone la messa in atto. Il legato agì tempestivamente emanando bandi che impedissero ai contagiati di uscire “di casa loro” mettendo in atto un vero e proprio sistema di quarantena per proteggere i cittadini sani. Nella sua azione era aiutato dai frati Camilliani che prestarono soccorso agli appestati ricoprendo anche le cariche dei quattro visitatori generali, uno per ogni quartiere della città, con l’autorità di far eseguire le disposizioni dell’Assunteria guidata dal legato Spada. La peste, una volta esauritasi, lasciò la sua traccia nell’arte e nelle strade cittadine. In piazza san Domenico e in piazza Malpighi vennero innalzate le colonne della peste (Madonna del Rosario e Madonna Immacolata), Guido Reni venne chiamato dal Comune a realizzare la cosiddetta Pala della Peste come ex-voto per la liberazione della città dal malanno e, infine, vale la pena ricordare che a Bologna i soccorritori erano tutti contraddistinti dalla presenza di una croce rossa, propria dei camilliani, sulla casacca come si nota in un dipinto, di Anonimo, contemporaneo all’avvenimento. Possiamo dire che, Bologna del XVII secolo, una croce rossa ante litteram era già all’opera, grazie agli sforzi dei padri camilliani, per salvare le vite dei cittadini bolognesi.
Antonio Marson Franchini