Negli anni di piombo la società italiana viveva nell’angoscia: era l’epoca delle stragi, della P38, dell’esplosivo e della lotta armata, risultato dell’estremizzazione del dibattito politico. A Bologna, città famosa per il confronto, spesso aggressivo, fra i vari gruppi radicali, vi furono diverse occasioni in cui le polemiche degenerarono in violenza. Il culmine delle tensioni venne raggiunto l’11 marzo 1977, quando lo studente di medicina Francesco Lorusso venne colpito da un carabiniere. Verso le ore 10:00 di quella mattina, gruppi studenteschi affiliati alla sinistra extraparlamentare si erano riuniti per impedire un’assemblea di Comunione e Liberazione, gruppo studentesco cattolico. Visto l’accrescersi della pericolosità e il rischio di incidenti sempre più concreto, il rettorato optò per la richiesta di aiuto alle forze dell’ordine. Il massiccio intervento, con cariche sugli studenti e violenze, non fece altro che peggiorare la situazione: in tutto il centro storico gli scontri si estesero a macchia d’olio. In via Mascarella, un giovane carabiniere di leva, Massimo Tramontani, evidentemente impreparato a gestire simili situazioni concitate, fece partire 6 colpi contro alcuni manifestanti centrando Lorusso, il quale spirò verso le 13:00. La morte del giovane causò un escalation di violenza che nei giorni successivi degenerò in ulteriori tumulti e proteste. Per riportare l’ordine venne deciso di inviare mezzi militari nell’area universitaria, percepiti e descritti come veri e propri “carri armati”. L’impatto psicologico e politico dell’avvenimento fu notevole e causò la rottura fra sinistra parlamentare ed extraparlamentare.
Alessandro Ambrosino