Uno degli epiteti che più spesso si sentono in riferimento a Bologna è “la rossa”. Questo non solo per via dell’onnipresente colore su edifici, tendaggi e chiese, ma anche perché per tutto il secondo dopoguerra l’amministrazione comunale risultò il fiore all’occhiello della sinistra. L’appellativo prese quindi un chiaro connotato politico fin dall’insediamento della prima giunta post-bellica nel 1946. il sindaco eletto, Giuseppe Dozza, si rese protagonista di un rivoluzionario progetto di ricostruzione, basato su trasparenza, autogestione e lotta al centralismo tipico del fascismo. L’obiettivo politico comunista era chiaro: accelerare le tappe della ricostruzione e far pervenire al comune ogni richiesta che partisse dal territorio. Per questa ragione vennero attivate delle consulte popolari che si occuparono di raccogliere le istanze dei cittadini, le quali passavano poi agli uffici del comune che si occupavano di concretizzarle. Fra il 1951 e il 1953 il consenso per Dozza si mantenne costante e il sindaco si impegnò in prima persona nelle concitate fasi della ricostruzione e nei rapporti con lo stato centrale. Anche sul versante culturale le iniziative messe in campo dalla giunta furono molteplici, a cominciare dal pieno sostegno all’Alma Mater che si avviava a diventare una delle università più all’avanguardia d’Europa. Dopo la vittoria su Dossetti nel 1956, iniziò la “seconda stagione” della giunta Dozza. Nei seguenti dieci anni di amministrazione vennero completate, grazie anche alla favorevole congiuntura economica degli anni 60’, la tangenziale, i quartieri popolari e le grandi infrastrutture che resero Bologna una grande città moderna.
Alessandro Ambrosino