Dopo l’Unità d’Italia la città di Bologna covava in sé una contraddizione importante: se da un punto di vista commerciale si avviava a diventare un polo ferroviario ed economico fondamentale nel Nord-Italia, da un punto di vista culturale essa era come immobile e il generale decadimento dello Studio Bolognese ne era la più diretta dimostrazione.
L’occasione per ridare prestigio e visibilità all’istituzione, comunque mai dimenticata dagli altri atenei europei che la riconoscevano come “Alma Mater Studiorum” e più antico “studium” dell’occidente, venne in pieno clima positivista quando un comitato di insigni professori decise di celebrarne l’ottavo centenario nel 1888.
La scelta della data non era casuale: solo in parte derivava dai risultati degli studi del vicedirettore della Biblioteca Universitaria che riteneva possibile l’inizio dell’attività d’insegnamento fra il 1075 e il 1090, ma soprattutto coincideva con i festeggiamenti della grande esposizione regionale programmata per l’estate dello stesso anno.
Il momento più solenne delle celebrazioni avvenne il 12 giugno. Alla presenza dei Reali, di oltre trecento rappresentanti di Accademie e Università di tutto il mondo, il già famosissimo poeta Giosuè Carducci pronunciò nella loggia dell’Archiginnasio una solenne orazione che cambiò per sempre la storia dell’Università di Bologna.
Infatti, da quel momento l’ateneo riuscirà sempre ad assicurarsi una politica di sostegno economico che lo trasformerà in un’eccellenza cittadina.
Alessandro Ambrosino