Il culmine della strategia della tensione, spartiacque nell’intera storia d’Italia del secondo dopoguerra è la strage di Bologna. Il 2 agosto 1980, alle 10.25, un ordigno a tempo, posizionato all’interno di una valigetta abbandonata, esplose nell’ala ovest della Stazione Centrale, causando la morte di 85 persone e il ferimento di altre 200. Mai un atto terroristico aveva compiuto tali danni, lo shock fu enorme, tuttavia la risposta della città giunse immediata. Con orgoglio e prontezza vennero subito prestati i soccorsi e addirittura i bus furono usati come ambulanze. Le indagini si indirizzarono subito sulla pista neofascista, ma solo dopo un intricatissimo iter giudiziario, di cui non si conoscono ancora bene tutti i particolari, e numerosi depistaggi (famoso in questo senso è stato il ruolo di Licio Gelli e la loggia massonica P2) si giunse all’individuazione di due colpevoli diretti: Valerio Fioravanti e Francesca Membro, i quali, però, si dichiararono colpevoli di altri fatti di sangue ma estranei agli eventi del 2 agosto. All’interno di questa complicatissima vicenda andarono poi a mescolarsi questioni politiche, teorie del complotto e molti altri elementi che, di fatto, hanno limitato, e limitano ancora oggi, una comprensione condivisa e completa dei fatti.
Alessandro Ambrosino