La forma di governo della città di Bologna denominata “mista” trae la propria origine dai capitoli conclusi con il pontefice Niccolò V nel 1447. Il governo doveva essere esercitato con il consenso delle magistrature cittadine e del Legato papale, aiutato dal vice-legato. Questa situazione comportò la nascita del detto: “Nulla può il Legato senza il Senato, nulla il Senato senza il Legato”. Dopo la seconda riconquista papale nel 1512 Bologna dovette subire le ire di papa Giulio II perdendo le magistrature bentivolesche (i Trenta Riformatori) e non vedendo ricreate le magistrature che lo stesso pontefice aveva fondato (i XL). Con l’elezione di Leone X già nel 1513 si ritornò alla situazione pre-riconquista con il ripristino dell’ordine dei Quaranta e la creazione di un Senato di trentanove membri che nel corso del XVI secolo raggiunse i 50 membri. Nel corso del secolo presero forma anche le assunterie, dei collegi che ricoprivano i compiti più disparati, dalla cura della tassazione della città alla cura dei confini del territorio bolognese. Si sviluppò così una dialettica a doppio senso tra la Repubblica bolognese, nella persona dell’ambasciatore residente a Roma, e il pontefice che era chiamato a vigilare sull’operato del Legato nominato per il territorio bolognese. Questo tipo di rapporto, unico in Europa, comportò diverse tensioni tra la Curia e la nobiltà bolognese che non riuscì, neanche sotto il pontificato del bolognese Gregorio XIII, a farsi riconoscere il diritto di trattare da pari con il Legato pontificio. I contrasti si acuirono nel 1588 quando Sisto V respinse la richiesta dell’ambasciatore bolognese a Roma, Paleotti, di dichiarare esplicitamente la non soggezione di Bologna alla Camera Apostolica. Il papato aveva quindi mantenuto, nel suo agire, l’idea che i rapporti con la città di Bologna dovessero essere simili a quelli tra un sovrano e i suoi sudditi.
Antonio Marson Franchini